La macchina umana
L’uomo è un essere che può “fare”, dice questo insegnamento. Fare significa agire coscientemente e di propria volontà. Dobbiamo riconoscere che non possiamo trovare una definizione dell’uomo più completa di questa.
Ho già detto che ci sono persone che hanno fame e sete di verità. Se esaminano i problemi della vita e sono sinceri con se stessi, si renderanno presto conto che non è possibile vivere come hanno fatto sino ad ora; che la via di uscita a questa situazione è fondamentale e che l’uomo può sviluppare le sue capacità e poteri nascosti solamente pulendo la sua macchina dalla sporcizia che si è accumulata nel corso della sua vita. Ma per intraprendere questa pulizia in maniera razionale, egli deve vedere cosa deve essere pulito, dove e come; ma vedere questo da solo è quasi impossibile. Per vedere qualche cosa egli deve vedere dal di fuori; e per questo è necessario un aiuto reciproco
La volontà è il segno di un essere che ha un livello di esistenza elevatissimo rispetto all’essere di un uomo ordinario. Solo gli uomini che posseggono un essere di quel livello possono fare. Tutti gli altri sono unicamente degli automi, messi in moto da forze esteriori, semplici macchine o giocattoli meccanici che funzionano fino a che non si scarica la molla interna, e del tutto incapaci di aggiungere alcunché alla propria carica.
Gurdjieff
Affermare che l’uomo è una macchina particolarmente evoluta che opera secondo meccanismi automatici molto sofisticati e di cui siamo poco consapevoli è quasi banale. Ma se affermiamo che la meccanicità non si limita al funzionamento del nostro sistema cardiocircolatorio o alla pompa sodio-potassio delle nostre cellule ma che essa investe anche il nostro pensiero, il mondo emotivo e molti dei nostri comportamenti che in realtà ci sembrano intenzionali, incontreremo senz’altro delle resistenze. Nel corso degli anni abbiamo in genere imparato a sviluppare una certa efficacia nelle nostre azioni e spesso abbiamo ricevuto feedback positivi in tal senso; ovviamente riteniamo che i nostri ragionamenti siano perlopiù il risultato di un pensiero critico ed autonomo; che il lavoro che abbiamo scelto sia proprio quello più adatto a noi; che i sentimenti che nutriamo nei confronti del nostro partner o degli amici siano profondi e sinceri. In fondo
“Matrix” è l’unico mondo che conosciamo e non abbiamo motivo per dubitare che sia reale, così come non ne hanno gli uomini del mito della caverna descritto da Platone, che guardano le ombre proiettate sullo sfondo scambiandole per la realtà. Ed in parte questo è anche vero: ogni individuo è unico, irripetibile, non riducibile ad alcun modello precostituito.
Ma allora come si spiegano le “incredibili” capacità predittive del terapeuta o del formatore che operano attraverso la conoscenza dell’Enneagramma? In alcuni casi, ad esempio, basta osservare per pochi minuti una persona per predire con un piccolo margine di errore quale sarà il suo comportamento più probabile in certe situazioni… le stesse persone sono stupite quando si scoprono descritte perfettamente nei testi di Claudio Naranjo o Helen Palmer. In realtà sin da piccoli acquisiamo memorie automatiche a livello cognitivo, emotivo, istintivo e motorio e le imprimiamo così profondamente dentro di noi da assumerle come nostre, tanto che quando, sollecitati da un opportuno stimolo, le utilizziamo non ci rendiamo conto di come esse costituiscano una risposta associativa automatica allo stimolo stesso, che si esprime senza una reale partecipazione della nostra coscienza. È per questo che
il primo passo verso il “ricordo di sé” è l’osservazione di quanto accade in noi. Si potrebbero criticare queste affermazioni ed obiettare che la macchina umana funziona in maniera perfetta proprio grazie a questi meccanismi automatici: in fondo molte delle azioni che si svolgono nel nostro corpo in qualsiasi istante e che ci mantengono in vita si compiono senza la nostra partecipazione volontaria. Ma l’elevata neotenia dell’essere umano, che fa di noi degli esseri sociali e plasmabili dalla cultura di riferimento, comporta anche che molti degli stessi assunti culturali che ci vengono trasmessi contengano elementi di distorsione di cui siamo poco consapevoli e che in genere sono in linea con quanto accettato dall’ambiente che ci circonda. E queste distorsioni, come molti studi antropologici dimostrano, investono ogni parte della macchina umana, determinando usi, costumi, gusti, modelli di pensiero, emozioni e comportamenti.
Centri e Funzioni
Per moltissimo tempo dovete soltanto osservare e cercare di scoprire tutto quel che potete circa le funzioni intellettuali, emozionali, istintive e motorie. Da ciò potrete arrivare alla conclusione che avete quattro menti ben definite: non una sola, ma quattro menti diverse. Una mente controlla le funzioni intellettuali, un’altra mente completamente diversa controlla le funzioni emotive, una terza controlla quelle istintive, e una quarta, anch’essa del tutto diversa, controlla le funzioni motorie. Noi le chiamiamo centri: centro intellettuale, centro emotivo, centro motorio e centro istintivo. Essi sono completamente indipendenti. Ciascun centro ha la propria memoria, la propria immaginazione e la propria volontà.
Ouspensky
Dobbiamo partire con l’osservare dunque, ma l’uomo non sa cosa e come osservare. È per questo che il lavoro inizialmente non può essere svolto da soli. Occorrono dei compagni di viaggio che ci introducano al sistema e con i quali possiamo confrontarci. Secondo il sistema della Quarta Via la macchina umana è composta da parte distinte, dette centri, che operano spesso l’una all’insaputa o al posto dell’altra sottraendole energia. I centri sono quattro (più due di tipo superiore, di cui parleremo):
- Centro intellettuale, il più lento, svolge le funzioni collegate al pensiero e alla comparazione
- Centro emozionale, il più veloce, che governa le funzioni emotive
- Centro istintivo, che presiede in modo automatico al funzionamento biologico dell’organismo, garantendone l’omeostasi
- Centro motorio, che sovrintende le funzioni motorie.
Ogni centro è poi diviso in positivo e negativo, intesi come azione/non azione, sì/no. Ogni centro può inoltre operare utilizzando la sua parte meccanica (attività meccaniche che non richiedono alcuna attenzione cosciente, ad esempio, guidare la macchina), emozionale (funziona per attrazione e stimolazione, si attiva quando qualcosa cattura la nostra attenzione e ci affascina) o intellettiva (attività che richiedono concentrazione o perché complesse o perché non conosciute prima).
Ogni centro ha una propria memoria ed opera indipendentemente dagli altri, tanto che dà origine a diverse configurazioni della nostra identità o raggruppamenti di “io”, che utilizziamo in modo differenziato a seconda delle situazioni in cui ci troviamo, senza esserne consapevoli. Spesso inoltre utilizziamo il centro emotivo quando dovremmo usare quello intellettivo, o il centro motorio al posto del centro emotivo, sottraendo energia utile al sistema ed operando delle scelte che poi si rivelano disfunzionali e contribuiscono a sviluppare i nostri conflitti intra- ed interpersonali.
Esiste una disciplina dal nome complesso, la psiconeuroendocrinoimmunologia (
PNEI), che studia proprio questi meccanismi e che, attraverso le sue indagini scientifiche, ci dimostra come i vari sistemi funzionino ed interagiscano. In linea con le più recenti acquisizioni della fisica quantistica, la PNEI avvalora l’antica tesi secondo cui è l’uomo a creare la propria realtà. Conoscere il funzionamento della macchina significa allora non solo cambiare la nostra visione del mondo, essere più consapevoli ed unitari ma anche modificare la chimica del nostro corpo, influenzando la qualità delle reazioni che avvengono al suo interno e determinando quindi il suo stato di salute psico-fisica.
Stati di Coscienza
Possiamo dire, senza alcuna esagerazione, che tutte le differenze che si notano tra gli uomini si possono riportare a differenze nei livelli di coscienza dei loro atti.
Tutta la nostra visione del mondo cambia in relazione al nostro livello di consapevolezza. Più alto esso è, più la comprensione del mondo è vasta, più è basso più essa scende fino al punto dell’identificazione, che vuol dire essere completamente focalizzati solo su una cosa; il massimo della limitazione percettiva.
Gurdjieff
Ogni uomo ha la possibilità e la potenzialità di fare esperienza di quattro differenti stati di coscienza, anche se l’uomo ordinario vive quasi totalmente nei primi due.
Gli stati di coscienza che l’uomo può vivere sono:
- Il primo stato di coscienza (sonno notturno), in cui ricarichiamo i nostri accumulatori, è la condizione in cui il nostro livello di coscienza è più basso; non sappiamo quello che ci circonda e le nostre naturali funzioni sono al minimo per permettere ai centri di ricaricarsi.
- Il secondo stato di coscienza (stato di veglia) è quello in cui trascorriamo la maggior parte dell’esistenza ed è caratterizzato da uno stato di identificazione e immaginazione costanti. È la condizione dell’uomo ordinario, che non è realmente collegato con la sua essenza, che è schiavo delle sue risposte meccaniche, dei suoi pensieri associativi, delle sensazioni del suo centro istintivo e delle emozioni automatiche, per quanto l’illusione di essere consapevoli ci faccia pensare che in questo stato siamo padroni di noi stessi.
- Il terzo stato di coscienza (Coscienza di sé) possiamo sperimentarlo ogni volta che abbiamo un ricordo vivido di qualcosa, o che abbiamo provato una gioia o una paura intense. Nel terzo stato di consapevolezza un uomo conosce la verità su se stesso ed impara a conoscersi per quello che è realmente.
È una condizione difficile da mantenere, di solito dura molto poco ed è di genere accidentale.
Senza un’adeguata preparazione nessun uomo è in grado di sostenerlo a lungo, anche perché spesso ciò che scopriamo di noi in questo stato è molto diverso da quello che abbiamo pensato prima di accedervi. Nel terzo stato di coscienza si “attiva” il centro emozionale superiore.
- Il quarto stato di coscienza (Coscienza oggettiva) è uno stato che può essere raggiunto solo in successione al terzo stato e può essere molto pericoloso se non siamo adeguatamente preparati a sostenerlo. È lo stato in cui l’uomo è in grado di vedere le cose come sono e le leggi che le legano le une alle altre: in questo stato si sviluppa il centro intellettuale superiore.
Mancanza di Unità
Se incominciamo a studiarci ci imbattiamo prima di tutto in una parola che usiamo più di ogni altra: la parola ‘io’. Diciamo ‘io sto facendo’, ‘io sto seduto’, ‘io sento’, ‘io amo’, ‘io non amo’, e così di seguito. Questa è la nostra principale illusione, in quanto il maggior errore che facciamo riguardo a noi stessi è quello di considerarci come uno; parliamo di noi stessi come ‘io’, e supponiamo di riferirci sempre alla stessa cosa, mentre in realtà siamo divisi in centinaia e centinaia di ‘io’ differenti. In un certo momento, quando dico ‘io’, sta parlando una parte di me; e in un altro momento, quando dico ‘io’, è completamente un altro ‘io’ che parla. Non sappiamo di non avere soltanto un ‘io’, ma parecchi ‘io’ differenti, collegati con i nostri sentimenti e desideri, i quali non hanno un ‘io’ che li controlla. Questi ‘io’ cambiano continuamente; uno soffoca l’altro, uno rimpiazza l’altro, e tutta questa lotta forma la nostra vita interiore.
Ouspensky
D: La creazione di unità è indispensabilmente preceduta da conflitti interiori?
R: Dalla percezione di conflitti interiori. I conflitti interiori sono costanti. Nessuno vive senza contrasti interiori, essi sono normali e stanno sempre là. Quando però cominciamo a lavorare, il conflitto aumenta. Quando non lavoriamo, fuggiamo, non lottiamo. Cosa significa lavoro? Significa lotta con cose contrastanti. Abbiamo un certo scopo, ma parecchi nostri ‘io’ non vogliono andare in quella direzione, quindi naturalmente il conflitto cresce. Ma creazione di unità non è il risultato di conflitto: è il risultato della lotta col conflitto. Noi siamo molti e vogliamo essere uno: questa è una formulazione del nostro scopo. Ci rendiamo conto che è un inconveniente, che è scomodo e pericoloso essere parecchi. Decidiamo di essere almeno meno divisi, di divenire cinque invece di cinquecento. Sento di dover far qualcosa e non voglio farla: questo è conflitto, ed esso, ricorrendo costantemente, crea resistenza e produce unificazione.
Ouspensky
Obbligare se stessi a vedere questo è molto doloroso. Questo non significa che io soffro, ma che qualcosa che desidera nascondersi non può sostenere di trovarsi sotto la luce. Essere in grado di vedere se stessi in maniera che qualcuno rimanga sotto i nostri occhi, sotto osservazione, questo è una punizione per l’eternità (riferimento alla parabola della divisione delle pecore e capre nei vangeli). Una cosa è se non abbiamo completamente tradito la ragione della nostra esistenza o completamente sprecato i “talenti” (parabola dei talenti nei vangeli) nelle nostre mani, ma figuratevi in voi stessi qualcuno che ha, e che sempre ha rifiutato di vedere ciò che ha, ma che un giorno si troverà ” avendo rifiutato di vedere ” costretto a vedere la realtà.
J.G. Bennett
Quando agiamo nel mondo siamo convinti di “essere uno” ed in genere riteniamo che le nostre scelte siano il frutto di un ragionamento coerente e consapevole. Spesso, tuttavia, quando ci rivolgiamo ad un terapeuta, ci accorgiamo che in realtà le cose non stanno proprio così. I nostri conflitti ed il disagio psichico non si risolvono per il solo fatto che lo desideriamo o che disponiamo di informazioni utili sul nostro disturbo. Se cominciamo a ragionare su di esso, ci rendiamo conto che la nostra mente sembra andare in una direzione, mentre le emozioni o il corpo agiscono in direzione opposta. Nel sistema della Quarta Via questo è un classico esempio della nostra mancanza di unità. Più nello specifico, in ognuno di noi albergano parti emozionali, intellettuali, motorie e istintive che sono in grado di operare separatamente e quindi anche in conflitto tra di loro. Ognuna di queste parti, o funzioni, possiede una propria memoria e dispone di un proprio “magazzino” di informazioni che si sono accumulate nel corso della nostra vita, senza che noi facessimo il minimo sforzo in tal senso. Alla stessa maniera, noi siamo in grado di recuperare le informazioni in modo meccanico e di rispondere in modo stereotipato non appena uno stimolo adeguato le attivi. Le risposte così prodotte sono la manifestazione dei nostri diversi “Io”, maschere che indossiamo con una tale naturalezza da non rendercene nemmeno conto, perlomeno finché non insorgono in noi un conflitto o un disturbo manifesto. Sino al momento in cui insorge un evidente disagio psichico in realtà ci è impossibile vedere come funziona la macchina umana, in quanto questa è dotata di meccanismi, detti “respingenti”, che ci impediscono di vedere le nostre contraddizioni e che, attraverso una serie di giustificazioni, ci permettono di vivere condizioni completamente opposte
senza scontro e danno. Lo scopo dei respingenti è quello di prevenire il disagio che verrebbe a crearsi dall’osservazione della nostra mancanza di unità e coscienza.
Scopo della psicoterapia è allora quello di lottare contro i respingenti, di sollevare la maschera della personalità per svelare la natura originaria dell’essenza. Tale opera deve però essere intrapresa nei tempi e nei modi giusti in modo da evitare che, una volta eliminati i respingenti, la persona resti indifesa, si ripieghi su stessa e crolli definitivamente. È nella sensibilità del terapeuta e nella dinamica della relazione che instaura con il paziente che si gioca la possibilità di uno sviluppo virtuoso del Lavoro.
Ognuno di noi, dicevamo, ritiene di compiere scelte autonome e non riducibili ad un modello mentre in realtà siamo tutti molto prevedibili e poco liberi di scegliere. È per questo motivo che l’approccio all’Enneagramma si sviluppa in genere dal riconoscimento del proprio enneatipo, cioè da quell’insieme di caratteristiche intellettuali, emotive, istintive e motorie che ci rendono, appunto, molto simili gli uni agli altri. Il riconoscimento della configurazione enneatipica ci dimostra come tutto in noi si compia in modo automatico ed acritico, senza alcuna partecipazione consapevole della nostra volontà e come tutto congiuri affinché essa ci paia assolutamente coerente. Le nostre difese – i respingenti – sono infatti organizzate in uno schema coerente di tre funzioni specifiche:
- il Meccanismo di Difesa
- l’Idealizzazione o Immagine di sé
- La cosa di cui abbiamo più paura e che tendiamo ad evitare.
Esse lavorano insieme in una sorta di triumvirato per mantenere intatta la personalità di ciascun enneatipo e non renderci consapevoli delle sue distorsioni/disfunzioni. Prendere coscienza della propria prevedibilità è spesso un’esperienza disarmante ed irritante, a cui in genere cerchiamo di resistere con tutte le nostre forze… almeno finché la nostra mancanza di unità non comincia a crearci più problemi che soluzioni.